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Fatti e persone del mondo del lavoro

Il recruiting inclusivo nella pratica
Quanto è importante evitare i pregiudizi
Inclusione non è una parola di moda. È una scelta strategica, un valore, una responsabilità. In un mercato del lavoro che cambia velocemente, investire su Diversity & Inclusion non significa “fare la cosa giusta” solo dal punto di vista etico. Significa anche attrarre talenti più vari, stimolare innovazione e migliorare le performance aziendali.
Parlare oggi di inclusione lavorativa non è solo una questione di responsabilità sociale. È un fattore competitivo. Le aziende più inclusive, secondo numerose ricerche internazionali, registrano livelli più alti di engagement, fidelizzazione e produttività.
Un team eterogeneo è spesso anche un team più creativo: prospettive diverse portano idee nuove, punti di vista alternativi e una maggiore capacità di problem solving. E in un’epoca in cui il talento è sempre più raro e selettivo, aprire le porte alla diversità è un investimento che genera valore a lungo termine.
Come costruire un’azienda davvero aperta alla diversity? Per essere autenticamente inclusivi, bisogna partire da come si selezionano le persone.
L’inclusione inizia dal primo contatto: il recruiting
Il primo filtro, si sa, è quello del processo di selezione. È lì che si decidono le sorti di una candidatura. Ed è proprio in quella fase che l’inclusione può (e deve) fare la differenza.
Un processo di recruiting inclusivo è quello in cui ogni candidato viene valutato sulla base delle competenze, delle potenzialità e della motivazione, e non sulla base di pregiudizi più o meno consapevoli. Sesso, età, etnia, orientamento sessuale, disabilità o background culturale non devono – e non possono – essere ostacoli, ma parte del valore aggiunto che un individuo porta con sé.
E non basta dichiararsi “aperti alla diversità” per esserlo davvero. L’inclusione si costruisce nei dettagli: in un annuncio di lavoro, nella scelta delle domande, nel modo in cui si comunica con chi cerca un’opportunità.
Come mettere in pratica il recruiting inclusivo
È nella quotidianità dell’attività HR che l’inclusione si fa concreta. Dalla scrittura dell’annuncio alla gestione del colloquio, ecco alcune azioni pratiche per rendere il recruiting più inclusivo e accessibile.
Linguaggio inclusivo negli annunci di lavoro
Le parole pesano. E quando si parla di recruiting, pesano doppio. Un annuncio costruito con attenzione al linguaggio può attrarre una platea di candidati più ampia e variegata. In questo articolo avevamo dato alcuni suggerimenti per offerte di lavoro a zero discriminazione.
Si possono evitare espressioni stereotipate come “giovane dinamico”, “madrelingua” o “bella presenza”, che possono escludere a priori persone altrettanto competenti ma con caratteristiche diverse.
Utilizzare un linguaggio neutro, chiaro, e includere frasi che incoraggiano la candidatura di persone appartenenti a categorie protette o a gruppi sottorappresentati è un primo, semplice passo.
Ad esempio: “L’azienda promuove un ambiente di lavoro inclusivo e accoglie con favore le candidature da parte di tutte le persone, indipendentemente da genere, età, disabilità, etnia o orientamento sessuale.”
Accessibilità e canali di ricerca
Un recruiting davvero inclusivo è anche accessibile. Questo significa scegliere canali di selezione che non penalizzino chi ha background diversi o competenze meno tradizionali.
Valutare partnership con associazioni territoriali, università, centri per l’impiego o piattaforme che promuovono l’inclusione permette di raggiungere candidati spesso esclusi dai circuiti convenzionali.
Anche la user experience del sito career aziendale conta: form complicati, interfacce poco leggibili o pagine non ottimizzate per dispositivi assistivi possono scoraggiare o escludere candidati con disabilità.
Il colloquio: attenzione ai bias (anche involontari)
Il momento del colloquio è forse il più delicato. Qui, più che altrove, entrano in gioco bias inconsci, ovvero giudizi automatici che si attivano sulla base dell’apparenza, del tono di voce, del curriculum o di elementi non rilevanti.
Chi si occupa di selezione deve sviluppare consapevolezza rispetto a questi meccanismi e adottare strategie per ridurne l’impatto. Ad esempio, utilizzare griglie di valutazione standardizzate, condurre test psicometrici per la valutazione oggettiva delle competenze, porre domande strutturate evitando questioni personali che possano risultare discriminatorie. Valgono sempre i do’s e don’ts, ovvero le domande da fare e quelle da evitare.
Nella fase di selezione, è essenziale evitare domande di tipo personale che possono portare a discriminazione o pregiudizio. Occorre concentrarsi sulle competenze e le esperienze lavorative pertinenti alla posizione per cui si sta incontrando il candidato. Per esempio, si possono porre domande, che lascino libera risposta da parte del candidato, come “Quali sono le sue esigenze di flessibilità oraria?”, oppure “Ci sono particolari supporti o ausili di cui avrebbe bisogno per svolgere al meglio il lavoro?”
Inoltre, suggeriamo di rileggere questo articolo dedicato a come garantire una selezione rispettosa delle neurodiversità. Luci forti, ambienti rumorosi, la presenza di profumi ambientali o altri aspetti di questo tipo potrebbero influire, distrarre o infastidire una persona neurodivergente.
Il recruiting inclusivo è un percorso, non una moda
Attivare un processo di selezione più inclusivo non significa fare beneficienza né abbassare gli standard. Significa, al contrario, alzare l’asticella della qualità, della consapevolezza e della coerenza aziendale.
Una buona prassi consiste nel formare i recruiter su temi di diversity e sulle tecniche di valutazione oggettiva. La formazione continua, in questo senso, è uno degli investimenti più importanti per chi vuole davvero cambiare cultura interna.
Un’organizzazione che seleziona persone diverse, per cultura, abilità, età o percorso di vita, è un’organizzazione che ascolta la società, che evolve con il proprio tempo e che ha gli strumenti per affrontare il futuro con maggiore resilienza.
Il recruiting inclusivo è un primo passo per riconoscere il valore della differenza e costruire ambienti di lavoro dove ogni persona può sentirsi accolta, valorizzata e libera di esprimere il proprio potenziale. E, diciamocelo, per un’impresa moderna questo non è un “nice to have”. È un must.
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