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Lavoro a termine, stagionale, a chiamata: una guida ai contratti dell’estate

La stagione estiva porta con sé alcune esigenze contingenti che i datori di lavoro possono gestire attraverso i cosiddetti contratti flessibili, per mettere in regola la forza lavoro destinata a essere occupata per brevi periodi, di solito qualche settimana o qualche mese.
Ci sono, ad esempio, gli studenti che approfittano della pausa dallo studio per trovare un lavoro stagionale prima di riprendere la scuola o l’università. Ci sono coloro che non possiedono un’occupazione stabile e si mettono a disposizione, per guadagnare o fare esperienza prima di un impiego più sicuro. Oppure ci sono professioni che, per loro stessa natura, sono stagionali. Si pensi ad esempio agli assistenti bagnanti, a chi raccoglie frutta e verdura, al personale di hotel e strutture ricettive, o allo staff di un parco divertimenti.

 

Quali regole devono seguire i datori di lavoro? Quale contratto proporre? A determinare la scelta sono durata e modalità dell’impegno richiesto.

 

Ecco una panoramica sulle differenze tra i vari contratti a termine.

 

 

Il contratto stagionale

 

Si parla di lavoro stagionale quando un’attività lavorativa si svolge in un determinato periodo dell’anno e manca il carattere della continuità.

 

Il contratto di lavoro stagionale è, a tutti gli effetti, un contratto di lavoro a termine. Quindi ne mantiene i classici adempimenti e obblighi (forma scritta del contratto, iscrizione Inps/Inail del lavoratore, ecc) ma non prevede una durata massima di 24 mesi. Si può prorogare fino a 4 volte o rinnovare senza soluzione di continuità, non essendo previsto lo “stop and go” ovvero il periodo “cuscinetto” tra la fine di un contratto e l’inizio del successivo. Inoltre, l’assunzione di lavoratori stagionali non è soggetta a limiti quantitativi, è indipendente dal numero di lavoratori in forza a tempo indeterminato in azienda.

 

Non tutte le imprese, però, possono adottare di questa tipologia contrattuale, in quanto riguarda solo alcuni settori. Infatti per lavori stagionali si intendono le attività che possono intensificarsi, oppure che devono essere svolte solo in determinati periodi dell’anno: turismo, ristorazione, ospitalità, settore alimentare.

 

Per essere definita stagionale, l’azienda deve presentare un periodo d’inattività di almeno 70 giorni continuativi o 120 giorni non continuativi. Ci sono poi eccezioni e contratti “atipici”: solo nel turismo e nei pubblici esercizi, ad esempio, è possibile stipulare contratti di massimo 3 giorni per banqueting, meeting, convegni, fiere, congressi, manifestazioni, attività del fine settimana o in occasione delle festività (lavoro extra e di surroga).

 

In alcuni casi (ma non sempre) nei contratti di lavoro stagionali è previsto anche il vitto e l’alloggio. Oppure l’azienda può decidere di pagare un’indennità di vitto e alloggio, ovvero l’equivalente delle spese di albergo o appartamento e tre pasti base al giorno in denaro. 

 

 

Contratto a chiamata o intermittente

 

Quando l’entità delle prestazioni lavorative richiede attività non programmabili, di carattere saltuario o discontinuo, il datore di lavoro può scegliere il contratto a chiamata, detto anche contratto intermittente o a intermittenza.

 

Non tutti, però, possono svolgere attività lavorativa con la formula del lavoro a chiamata. Il primo requisito da rispettare è quello anagrafico, che consente di utilizzare questa formula contrattuale solo con persone di età inferiore ai 24 anni o superiore ai 55 anni (anche nel caso in cui siano già pensionati). Per chi ha 24 anni compiuti, il lavoro può essere svolto fino al giorno prima del compimento del 25esimo anno.

 

Le attività indicate sono ad esempio quelle di cameriere, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie ed esercizi pubblici. È consentita anche la forma dell’apprendistato in cicli stagionali.

 

A eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso con lo stesso datore di lavoro per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari. In caso di superamento di tale limite, il rapporto si trasforma in lavoro a tempo pieno e indeterminato.

 

I datori di lavoro che scelgono questa tipologia contrattuale devono inviare comunicazione preventiva obbligatoria agli enti preposti (con modalità simili a quelle previste per il lavoro occasionale).

 

 

Collaborazione occasionale

 

La prestazione occasionale è uno strumento che deve essere utilizzato per regolare attività professionali in modo saltuario e sporadico, con soggetti esonerati dall’apertura di una partita IVA in quanto svolgono l’attività in modo non abituale e non continuativo. Questa formula contrattuale può essere di due tipologie differenti: prestazione di lavoro autonomo occasionale oppure prestazione occasionale di tipo subordinato.

 

La prima, prestazione di lavoro autonomo occasionale, riguarda attività a prevalente vocazione intellettuale, come ad esempio consulenze, scrittura o lavoro di procacciatori di affari. Da quest’anno, i rapporti di collaborazione autonoma occasionale devono essere oggetto di preventiva comunicazione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL).

 

Oppure si può parlare di prestazione occasionale quando le attività non abituali sono legate ad attività di tipo subordinato, non svolte in maniera autonoma, ma alle dipendenze di un committente stabilito: può essere il caso di una studentessa che si finanzia gli studi facendo la baby sitter, oppure facendo la commessa in un negozio nei fine settimana. Attività che possono essere gestite con il contratto di prestazione occasionale (per le aziende) o con il libretto famiglia (per i privati).

 

 

Contratto a tempo determinato

 

Infine, indipendentemente dalla stagione dell’anno e dal settore in cui si opera, si può optare per il contratto di lavoro a tempo determinato. Può essere stipulato per un massimo di 12 mesi, periodo oltre il quale è necessario un rinnovo e una specifica causale. Inoltre lo stesso lavoratore non può avere questo tipo di contratto per più di 24 mesi.

 

Il contratto di lavoro a tempo determinato può essere a tempo pieno o a tempo parziale, quindi valido anche solo per alcuni giorni della settimana. Il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non può superare il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.

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