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Tutto sullo smart working: il nuovo telelavoro
Gestione, engagement, controllo
Smart working e telelavoro non sono sinonimi, ma ancora oggi, anche tra imprenditori e manager, capita di fare confusione tra i due modelli. Dopo l’esperienza pandemica, il lavoro agile ha avuto un’accelerazione senza precedenti, e oggi, nel 2025, è ormai una leva strutturale per l’organizzazione del lavoro.
Ma come funziona davvero lo smart working nel 2025? Cosa prevede la normativa aggiornata? E quali sono le responsabilità delle aziende?
Smart working e telelavoro: due cose diverse
Partiamo dal chiarire un equivoco comune. Il telelavoro è una modalità “fissa”, in cui il dipendente lavora sempre dallo stesso luogo, di solito la propria abitazione, con una postazione stabile, orari rigidi e strumenti forniti dall’azienda.
Lo smart working, invece, è lavoro agile: flessibile nei tempi e nei luoghi, con obiettivi più che con orari. È regolato da un accordo individuale, ma si fonda su un principio chiave: fiducia reciproca e autonomia operativa.
Nel 2025, lo smart working è diventato parte integrante della cultura organizzativa per molte imprese, soprattutto nei settori knowledge-based e nei servizi.
Cosa prevede la normativa oggi
La normativa principale sullo smart working in Italia è contenuta nella legge n. 81 del 22 maggio 2017, che regola il lavoro agile (o smart working). Questa legge definisce lo smart working come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che può essere svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sfruttando le tecnologie digitali. Non si tratta di una nuova tipologia contrattuale, ma di una diversa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che si basa su flessibilità, autonomia e fiducia tra datore di lavoro e lavoratore. Il sito del Ministero del Lavoro – sezione Smart Working riepiloga tutte le normative in vigore. In particolare, in Italia dal 2021 c’è un “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile a cui si può fare riferimento.
Con l’entrata in vigore della Legge n. 106 del 18 luglio 2025, il quadro normativo sullo smart working si è aggiornato ulteriormente, recependo i cambiamenti sociali e sanitari degli ultimi anni. La legge ha confermato la priorità di accesso allo smart working per i lavoratori con gravi patologie, invalidità o familiari disabili a carico. E ha ribadito l’obbligo per il datore di lavoro di assicurare la parità di trattamento rispetto a chi lavora in presenza: stessi diritti, stessa retribuzione, stessi percorsi di carriera.
Smart working: a chi conviene (e perché)
Nel 2025, smart working non è più solo una misura emergenziale o un “benefit” per attirare talenti. È diventato un vero strumento strategico di produttività e sostenibilità.
Alle aziende consente di:
- Ridurre costi logistici e spazi fisici
- Attrarre e trattenere talenti, anche fuori dal proprio territorio
- Migliorare il work-life balance, con impatti positivi su benessere e performance
- Rispettare gli obiettivi ESG legati alla sostenibilità (mobilità, riduzione CO₂, inclusione)
Per le PMI lo smart working può rappresentare un’opportunità per ottimizzare risorse e accedere a competenze difficilmente reperibili localmente.
Come attivare lo smart working in azienda
Lo smart working oggi richiede una progettazione chiara, non è più sufficiente “lavorare da casa con il portatile”. La normativa prevede che il lavoro agile sia regolato da un accordo individuale, che indichi:
- Durata e modalità della prestazione
- Tempi di reperibilità
- Utilizzo degli strumenti digitali
- Misure di sicurezza e protezione dei dati
- Diritto alla disconnessione
È responsabilità del datore di lavoro garantire formazione, strumenti adeguati e un ambiente digitale sicuro. L’accordo – come è spiegato sul portale ufficiale Clic Lavoro – può essere trasmesso tramite il portale Servizi Lavoro, dove è anche disponibile il modello aggiornato per il 2025.
Le sfide: gestione, engagement, controllo
Lo smart working ha tanti vantaggi, ma anche qualche nodo da sciogliere. Avevamo già posto la domanda su: chi paga le spese in smart working?
Le sfide principali riguardano la capacità di monitorare la produttività dei dipendenti senza però scivolare in forme di controllo troppo invasive, che rischierebbero di minare la fiducia e l’autonomia. È fondamentale anche mantenere vivo il senso di squadra e la cultura aziendale, nonostante la distanza fisica, trovando modalità efficaci per favorire la collaborazione e l’appartenenza al gruppo. Consigliamo di leggere questo articolo su come gestire l’onboarding dei dipendenti da remoto.
Un altro aspetto delicato riguarda l’uso delle tecnologie: bisogna evitare che i lavoratori si sentano “sempre connessi”, promuovendo invece un utilizzo sano e bilanciato degli strumenti digitali. Infine, non meno importante è la gestione della sicurezza informatica, una sfida crescente soprattutto ora che molte postazioni di lavoro e reti sono esterne all’azienda e meno controllabili direttamente.
Verso un modello ibrido stabile
Il futuro del lavoro, per molte realtà, non è full remote e nemmeno full office. È ibrido, consapevole, flessibile. Il vero cambiamento non è il luogo da cui si lavora, ma come si lavora.
Le imprese più evolute stanno trasformando lo smart working in una leva organizzativa, legandolo a obiettivi di performance condivisi, cultura del feedback e responsabilizzazione diffusa
È questo il nuovo “telelavoro”: lo smart working non è una checklist da spuntare per essere moderni. È una scelta strategica che richiede visione, strumenti e cultura.
Le aziende che vogliono restare competitive oggi devono investire in innovazione, e non si tratta solo di tecnologia, ma dalla fiducia, autonomia e responsabilità. E lo smart working – quello vero – è tutto questo.
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