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Gender gap: a che punto siamo nel mondo e in Italia

Quali sono le differenze fra uomini e donne in termini di opportunità, di occupazione e di prospettive di carriera? Quanto guadagnano le donne rispetto ai colleghi uomini? Queste sono le domande la cui risposta caratterizza le dimensioni del divario di genere.
Il Global Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum stima che il divario di genere globale è stato colmato al 68,1%. Questo vuol dire che, al ritmo attuale, potrebbero essere necessari 132 anni per raggiungere la piena parità. Nonostante il lieve miglioramento rispetto alla stima 2021 (136 anni), si risente ancora dello shock pandemico iniziato nel 2020, quando la prospettiva per chiudere il gender gap era di 100 anni.


Sempre secondo il WEF e secondo l’EIGE, l’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere, l’Italia ha colmato solo in parte il gap di genere (72% per il primo ente, 68,6% per il secondo).
Rispetto agli uomini, in Italia le donne sono in media più istruite a tutti i livelli (59,4% di laureate sul totale), hanno performance scolastiche migliori (il 43% delle ragazze ottiene un voto d’esame superiore o uguale a 8, rispetto al 31,7% dei ragazzi) e abbandonano meno gli studi (10,5% delle ragazze contro il 14,8% dei ragazzi).


E se le donne non laureate scontano una minore presenza sul mercato del lavoro rispetto ai colleghi uomini (38,1% di occupate contro 61,9% di occupati), tra chi possiede una laurea la differenza s’inverte (56,3% occupate contro 43,7% occupati). Rimane invariato il tasso di part-time femminile, in costante crescita dal 2004, che nel 2019 è arrivato quasi al 35%, contro circa il 9% degli uomini. L’alto numero di part-time femminile è verosimilmente da ricondursi all’onere di doversi occupare del cosiddetto “lavoro di cura non retribuito”. L’Italia, infatti, è al 4° posto tra i paesi OECD per gap a sfavore delle donne sul tempo di lavoro di cura.


Le donne rappresentano infine la minoranza tra i ruoli apicali. Nel settore privato mappato dall’osservatorio JobPricing risultano il 17% dei dirigenti e il 31% dei quadri. Nonostante nel 2021 si sia raggiunta la percentuale record di donne nei Consigli di Amministrazione, toccando il 41,2%, la stragrande maggioranza delle componenti di genere femminile risulta consigliere non esecutivo (il 45% del totale), solo il 22% del totale risulta consigliere esecutivo.

 

 

Il gender pay gap in Italia

 

In Italia, secondo i dati del Gender Gap Report 2022 dell’Osservatorio Jobpricing , lo scorso anno è come se le lavoratrici avessero iniziato a percepire lo stipendio dall’11 febbraio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio. Nel 2021, infatti, il pay gap calcolato sulla RAL annuale in Full Time Equivalent (FTE) nel settore privato (ad esclusione di sanità e istruzione private) è stato dell’11,2% (3.500 €) e del 12,2% (3.800 €) considerando la RGA (Retribuzione Globale Annua, comprensiva cioè della parte variabile).

 

RAL media e pay gap per genere e inquadramento contrattuale, anno 2021, (euro e percentuale)

RAL Media PayGap

Note: Pay gap non aggiustato sul salario annuale in FTE, espresso in percentuale del salario maschile. Osservatorio JobPricing 2022

 

Rispetto al 2020, il divario retributivo si è ampliato di 1 punto percentuale per la RAL e di 0,9 punti per la RGA.
Il gap salariale cresce sia al crescere del livello di istruzione – toccando punte intorno al 30% tra chi possiede master – sia al crescere dell’età, arrivando a superare il 17% tra i 55-64 anni.
Rispetto all’inquadramento professionale, il gap è minore tra le persone con ruolo di dirigente e quadro e maggiore nella categoria di impiegati e operai. Questo dato non vale per i Top Earners, gli Amministratori delegati e i Dirigenti con responsabilità strategiche delle imprese quotate: in questa fetta di mercato, il differenziale salariale supera in alcuni casi il 50%.
Fra le diverse Industry si manifesta una forte segregazione verticale nel settore dei Servizi finanziari, in conseguenza questo settore registra il gender pay gap più alto (17,2%); nell’edilizia, invece, la segregazione è orizzontale e il pay gap risulta in favore delle donne (15,8%).


D’altra parte, i fattori che determinano il pay gap, come quelli appena visti, spiegano solo una parte del più ampio problema del gender gap, che vede anche il necessario approfondimento di altri fattori, come la partecipazione al mercato del lavoro, il lavoro di cura non retribuito e la presenza di un soffitto di cristallo. Valutando tutti questi ulteriori elementi, considerando quindi il gender overall earnings gap, il divario ipotizzato arriva a superare il 40% nel 2018.

 

 

Cosa fare alla luce di questa situazione?

 

Il gender gap è un fenomeno presente, con tratti più o meno marcati, in tutti i Paesi, e non a caso la riduzione del gender gap è uno degli obiettivi posti dall’Agenda 2030 dell’ONU.
La Commissione Europea negli ultimi anni ha delineato la Strategia UE per la parità di genere, che contiene gli obiettivi e le azioni volte a compiere progressi significativi entro il 2025 verso un’Europa garante della parità di genere. Anche il nostro Paese, seguendo la Commissione Europea, ha identificato una Strategia Nazionale per la Parità di Genere per i prossimi cinque anni, approvata e pubblicata a luglio 2021.
Tra i primi interventi concreti posti in essere in esecuzione della Strategia va ricordata la L. 162/2021 , che ha aggiornato l’intera disciplina del diritto antidiscriminatorio e introdotto un processo di certificazione “ministeriale” per la parità di genere nelle organizzazioni, con conseguente premialità per le aziende virtuose e inasprimenti di sanzioni e controlli. Sono stati quindi definiti i parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere, richiamando lo schema dei KPIs previsti dalla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, che intendono misurare le politiche e le azioni concrete adottate dalle aziende per ridurre il divario sui temi della carriera, delle retribuzioni e delle altre dimensioni ritenute rilevanti.
Questo tema è dunque divenuto sempre più centrale nel quadro delle iniziative istituzionali e degli strumenti giuridici introdotti non solo perché socialmente giusto (e questo dovrebbe bastare di per sé), ma perché da un punto di vista macroeconomico, chiudere il gap di genere significa di fatto accorciare la disuguaglianza e, dunque, migliorare le condizioni di crescita economica e produttività.


Uno studio dell’EIGE, che ha misurato gli impatti positivi della riduzione della disparità di genere in UE, stima che il miglioramento del gap potrebbe innalzare il tasso di occupazione tra il 2,1 e il 3,5% entro il 2050, coinvolgendo uomini e donne. Per lo stesso orizzonte temporale, si stima un aumento del PIL pro capite tra il 6,1 e il 9,6%. Ma i vantaggi economici si possono osservare anche a livello microeconomico: innumerevoli studi continuano a dimostrare come una maggiore chiusura del gap di genere porterebbe dei vantaggi notevoli anche alle singole organizzazioni, riassumibili in 4 pilastri: valorizzazione dei talenti, miglioramento della reputazione e della responsabilità dell’impresa, crescita dell’innovazione e delle performance dei team di lavoro e, non ultimo, miglioramento delle performance finanziarie.

 

 

Superare gli stereotipi e attivare percorsi virtuosi

 

Un’effettiva parità, anche salariale, passa quindi per il superamento di bias radicati così in profondità da essere spesso inconsci. Per questo, sebbene negli ultimi anni si sia evidenziato un progressivo rafforzamento delle azioni a livello istituzionale, sia nazionale che internazionale, è necessario attivare percorsi virtuosi, a tutti i livelli della “società civile”: in famiglia, all’interno delle scuole e delle università, fino ad arrivare alle imprese.

 

Proprio le imprese possono svolgere un ruolo centrale, promuovendo iniziative interne di formazione e sensibilizzazione, adottando policy in senso inclusivo, e facendosi promotrici del cambiamento all’interno della comunità. In questo senso non si può che accogliere con grande favore iniziative come la Certificazione della Parità di Genere sui luoghi di lavoro, il suo metodo di misurazione dettato dalle linee guida UNI/PDR 125:2022 o strumenti di misurazione come quelli proposti da IDEM – Mind The Gap e altri, che sono sicuramente la punta avanzata di un approccio che ha davvero il potenziale di cambiare le cose.

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