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C'erano una volta le Risorse Umane.

C'era una volta HR

Le Risorse Umane di ieri, di oggi e di domani.

C’era una volta, nel variegato tessuto industriale ed economico italiano, una funzione aziendale, che si chiamava Personale.

 

La nostra storia inizia alla fine degli anni Cinquanta.
Siamo nel dopoguerra inoltrato e l’Italia e l’Europa si stavano riprendendo dalle ferite del terribile conflitto mondiale e dagli orrori da esso generati.
La nostra protagonista svolgeva il ruolo di una funzione sostanzialmente di controllo amministrativo e organizzativo.

L’anima amministrativa si compiva principalmente nel controllo delle presenze e nell’elaborazione e verifica dei cedolini.
L’anima organizzativa invece svolgeva analisi e supervisione dei carichi di lavoro, in relazione al processo produttivo, alle economie di scala e alle conseguenti necessità di organico.
Pur essendo una funzione aziendale ancora senza un’identità precisa e riconosciuta, l’impatto sul conto economico aziendale dell’anima organizzativa era già significativo.
La selezione, lo sviluppo e il compensation, poco esercitati, erano in carico all’imprenditore o alla proprietà. La nostra funzione riportava alla contabilità oppure, in alcuni casi, alla produzione.
I professionisti della funzione Personale erano prevalentemente uomini attrezzati con le mezze maniche, calcolatrice, compasso e righello, esperti di numeri e di tempi e metodi.

 

Durante gli anni Sessanta e fino agli inizi degli anni Settanta, con gli effetti del boom economico e la necessità di maggiori criteri di selezione, la nostra funzione protagonista si sviluppava e conquistava un’identità e maggiore dignità; iniziava a trasformarsi in una Direzione del Personale.
Ancora in pochi casi collocata in staff all’Amministratore Delegato, si focalizzava anche su aspetti gestionali, di selezione, valutazione e premiazione del personale.
Nel frattempo, dai paesi anglosassoni arrivavano venti e culture manageriali nuove che trasmettevano studi, strumenti e best practices più sofisticati.
E qualcuno iniziava a parlare di Risorse Umane.

 

La crisi degli anni Settanta, la maturità del Sindacato e lo Statuto dei Lavoratori, portarono la funzione Personale a vivere un’evoluzione importante con le contrattazioni aziendali e la normativa del lavoro.
Nasceva la figura del Direttore del Personale e delle Relazioni Industriali, il cui impatto sul conto economico aziendale diventava sempre più rilevante, riuscendo a scongiurare uno sciopero, a contrattare accordi, turni e straordinari, oppure a “tagliare le teste” in eccedenza.
L’imprenditore aveva bisogno del suo supporto e voleva la nostra funzione eroina al suo fianco, in un ruolo di staff che diventava strategico per il forte impatto sul costo del lavoro e sulla produttività aziendale.
I professionisti del Personale in quel periodo erano uomini di ordine e di controllo, dotati di capacità negoziale. Molti venivano dalla scuola dell’Arma.

 

Con gli anni Ottanta e Novanta, la necessità di rispondere con maggiore velocità e flessibilità alle richieste dei mercati sempre più internazionali e aperti, la nostra Direzione del Personale assumeva un ruolo ancora più strategico.
A livello organizzativo era coinvolta nell’identificazione dei migliori assetti e modelli, variando da un organigramma a un funzionigramma, da una struttura funzionale a una divisionale, da una organizzazione lean a una matriciale, con l’obiettivo di essere capaci di rispondere rapidamente ai contesti di mercato e alle richieste di qualità e velocità del cliente.
La gestione dei dipendenti diventava sempre più attenta e sofisticata, attraverso valutazioni, assessment, strumenti di incentivazione e retention del personale ed era ormai focalizzata su tutto il “ciclo di vita” del dipendente, dall’assunzione all’uscita volontaria o involontaria.
Nelle aziende, prevalentemente multinazionali, la nostra protagonista, a mano a mano migliorata da una crescente rappresentanza femminile, come nella più classica delle favole, si trasformava e assumeva un ruolo sempre più importante e cominciava a essere riconosciuta come Direzione Risorse Umane; HR per i più anglofoni.

 

Con il nuovo millennio il mondo assisteva alla più rapida e imponente trasformazione dei mercati, diventati globali.
Nel giro di un paio di decenni, internet, il digitale i big data e l’industria 4.0 avevano sconvolto l’economia e il modo di fare azienda.
I clienti si aspettavano velocità, qualità, personalizzazione, capacità di cavalcare i cambiamenti e costi bassi.
Le start-up aziendali pullulavano e le grandi imprese si trasformavano, altre scomparivano.
Anche la nostra protagonista cambiava pelle e si tramutava in HR Business Partner, ruolo sempre più strategico a fianco della linea, le cui azioni non erano più fini a se stesse ma orientate a guidare il change management, a facilitare e impattare in modo positivo sui risultati di business.
La personalizzazione non era soltanto rivolta al cliente; l’attenzione alla persona, ai suoi bisogni e al suo engagement assumeva un’importanza sostanziale.
Si iniziava a parlare di capitale umano al posto di dipendenti, di welfare aziendale, di wellbeing, di smart working, e di social network applicato alla comunicazione interna.
Al professionista HR si chiedeva di essere un po’ meno esperto di amministrazione, selezione, negoziazione, normativa e controllo, ma sempre più facilitatore, integratore, motivatore, coach, esperto di employer branding ed engagement del personale.
E la nostra eroina si trasformava sempre più nella funzione Engagement & HR Business Partner.

 

E se oggi fosse il 2025? È trascorso più di un quarto di secolo da quando è iniziato il nuovo millennio.
Molte delle attività tipiche di HR oggi sono gestite dal digitale e dall’intelligenza artificiale. Attraverso piattaforme digitali e app che permettono facili match tra parole chiave, la morfologia del viso tratta dalla foto e l’immensità dei dati a disposizione, oggi si riesce a selezionare, valutare e gestire la mobilità del personale con grande facilità e con un ottimo grado di successo. Le normative sono più snelle, le procedure fluide e tutto è mappato e codificato.
Le macchine svolgono la maggior parte dei lavori e all’uomo è rimasta l’attività più strategica, di pensiero, di pianificazione e di personalizzazione.
Nelle aziende l’uomo è ciò che fa la differenza perché, diversamente dalle macchine e dall’intelligenza artificiale, non ha solo le competenze e un cervello, ma anche un cuore e una pancia.
E la nostra funzione protagonista ne tiene conto ed è interamente dedicata all’uomo, al suo ascolto, al suo benessere, a come dare un senso al suo lavoro, facendo emergere il valore aggiunto della singola persona rispetto alla potenzialità digitale e artificiale, coniugando il coinvolgimento e la collaborazione delle persone con le loro peculiarità e i loro desiderata.
Per questo motivo la nostra funzione protagonista, oggi da alcuni chiamata Human Value, ha assunto un ruolo sempre più strategico accanto al CEO.

 

Qual è la morale della nostra intrigante e affascinante favola?
Per aver successo in azienda bisogna essere prima di tutto al passo con i tempi e flessibili.
Il valore aggiunto nella nostra storia è stato apportato dalla capacità della nostra eroina di trasformazione rapida e di adattamento, sia ai trend, ai contesti e alle evoluzioni di mercato, che alla valorizzazione della potenzialità e all’ascolto dei bisogni dell’essere umano.
In pratica, la capacità di coniugare un ruolo da Business Partner con la comprensione e la valorizzazione della persona e del suo Human Value.
Grazie a queste preziose caratteristiche, la leadership e l’autorevolezza della nostra funzione protagonista sono cresciute negli anni.
E i professionisti HR, come nelle migliori delle favole, …”vissero” e lavorano felici e contenti, consapevoli di svolgere al contempo un ruolo fondamentale, per l’azienda e per la società, e uno dei mestieri “più belli del mondo”.

 

A cura di Antonio Messina, Presidente ed Executive Trainer & Consultant – Hara Risorse Umane

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