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Direttiva europea sul salario minimo a rischio annullamento: i motivi
Implicazioni
La Direttiva (UE) 2022/2041 sul salario minimo, adottata il 19 ottobre 2022, avrebbe dovuto essere recepita entro il 15 novembre 2024. Mirava a garantire salari minimi adeguati all’interno dell’Unione Europea, promuovendo condizioni di vita e di lavoro dignitose per i lavoratori degli Stati membri. Tuttavia, rischia di essere bloccata ancor prima di entrare in vigore, a causa dei dubbi sollevati dalla Corte di Giustizia Europea sulla sua compatibilità con le competenze giuridiche dell’UE.
Origine e obiettivi della Direttiva sul salario minimo
La direttiva – di cui abbiamo parlato in modo approfondito in questo articolo – è stata concepita per affrontare le disparità salariali esistenti tra gli Stati membri e garantire una retribuzione equa ai lavoratori. Del resto il tema del divario retributivo è “caro” all’Europa.
L’obiettivo principale era stabilire criteri comuni per determinare salari minimi adeguati, rafforzando al contempo la contrattazione collettiva.
Questo intervento avrebbe potuto migliorare le condizioni economiche dei lavoratori, soprattutto in Paesi con salari minimi legali inferiori, come Bulgaria, Romania e Ungheria, dove gli stipendi minimi non superano i 500 euro mensili.
Il ricorso della Danimarca e le divisioni in Europa
La Danimarca, sostenuta dalla Svezia, ha presentato un ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-19/23) per l’annullamento della direttiva. Il motivo principale risiede nella presunta violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che esclude la competenza dell’UE in materia di retribuzioni.
La Danimarca e la Svezia temevano che la direttiva potesse interferire con i loro sistemi consolidati di contrattazione collettiva, dove i salari sono negoziati direttamente tra sindacati e datori di lavoro, senza un salario minimo legale.
Al contrario, Paesi come Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Lussemburgo e Portogallo hanno espresso sostegno alla direttiva, ritenendo necessaria una regolamentazione a livello europeo per garantire salari minimi adeguati.
Il parere della Corte di Giustizia UE
Il 16 gennaio 2025, l’Avvocato Generale della Corte di Giustizia UE, Nicholas Emiliou, si è espresso per l’annullamento della direttiva. Sulla materia della retribuzione non esiste una competenza dell’Unione europea, quindi non è consentita alcuna forma di intervento da parte del legislatore euro-unitario e di armonizzazione.
Se il legislatore stabilisse requisiti minimi in materia di retribuzione, supererebbe già le proprie competenze, invadendo quelle degli Stati membri, come stabilito dall’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.
Inoltre, ha sottolineato che la direttiva potrebbe interferire con le politiche nazionali, pur senza fissare livelli specifici di retribuzione, e che la sua approvazione avrebbe richiesto l’unanimità, mentre è stata adottata a maggioranza.
Nel complesso, l’Avvocato generale raccomanda alla Corte di annullare integralmente la direttiva in quanto incompatibile con l’articolo 153, paragrafo 5, TFUE rispetto al tema della retribuzione, poiché essa interferisce in maniera diretta con le competenze degli Stati membri, compromettendo l’autonomia dei loro sistemi nazionali di determinazione salariale.
Implicazioni per le imprese e le risorse umane
La decisione finale (attesa entro fine anno) spetterà alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che generalmente segue le conclusioni presentate dell’Avvocato generale.
L’annullamento della direttiva sui salari minimi legali rimuoverebbe gli obblighi per gli Stati membri stabiliti dalla direttiva stessa. Pertanto, gli Stati potrebbero modificare le disposizioni degli ordinamenti nazionali che sono nel frattempo state adottate al fine di trasporre le disposizioni previste dalla Direttiva.
Nei Paesi senza un salario minimo legale, l’annullamento della direttiva potrebbe rafforzare l’importanza della contrattazione collettiva come strumento principale per determinare le retribuzioni.
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