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Caldo estremo e salute sul luogo di lavoro: le regole 2025 per le aziende
Gli ammortizzatori sociali
Se il cambiamento climatico è ormai un tema che tocca tutti, le imprese e i responsabili delle risorse umane lo sentono addosso – letteralmente – ogni estate di più. Caldo estremo, temperature record, ondate di calore, stop forzati ai cantieri, produttività a rischio e, soprattutto, salute dei lavoratori messa a dura prova. È in questo contesto che, il 2 luglio 2025, il Ministero del Lavoro e le Regioni hanno firmato un Protocollo quadro per la gestione dei rischi derivanti da condizioni climatiche estreme nei luoghi di lavoro.
Il documento, pur non essendo ancora legge, sarà recepito tramite un decreto ministeriale e attuato attraverso accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali. Si tratta di un passo avanti importante per rafforzare la sicurezza in ottica climatica, soprattutto nei settori più esposti: edilizia, agricoltura, logistica, servizi ambientali.
Ma non è solo una questione estiva o per chi lavora “in esterno”. Il Protocollo aggiorna il Testo Unico sulla Sicurezza (DLgs 81/2008): introduce infatti l’obbligo di valutare anche i rischi microclimatici e le radiazioni solari, rendendo operativo un orientamento ormai inderogabile.
Troppo caldo per lavorare: cosa prevede il Protocollo 2025
Il cuore del Protocollo caldo 2025 è semplice: mettere al centro il benessere termico dei lavoratori, e farlo con misure concrete e subito attuabili.
Già il 19 giugno 2025, la Conferenza delle Regioni aveva definito le linee guida per la tutela della salute e sicurezza durante le ondate di calore, che ora diventano parte integrante della pianificazione aziendale. Ecco alcune delle misure previste:
- Ridefinizione della valutazione dei rischi (art. 28 del DLgs 81/08) per includere i fattori climatici estremi: caldo, umidità, esposizione al sole.
- Applicazione dell’art. 180 sul rischio da agenti fisici, con focus specifico su radiazioni solari e microclima.
- Obbligo per il datore di lavoro di adottare strumenti di sorveglianza meteo e valutazione predittiva dei picchi termici, anche tramite bollettini INAIL, Ministero della Salute e Protezione Civile.
- Introduzione di misure organizzative e tecniche: variazione degli orari di lavoro, pause regolari in zone ombreggiate o climatizzate, accesso all’acqua, uso di dispositivi di protezione individuale ad hoc.
Una novità rilevante è che le ordinanze regionali possono integrare o sospendere alcune attività lavorative nei momenti più critici, soprattutto tra le 12:30 e le 16:30, per attività manuali all’aperto.
Insomma, non si tratta più di buone pratiche opzionali: la prevenzione diventa strategica.
Cosa cambia per gli ammortizzatori sociali: le nuove agevolazioni
Tra le novità più attese dalle imprese c’è la possibilità, già delineata nel Protocollo, di accedere più facilmente agli ammortizzatori sociali in caso di sospensione dell’attività per caldo estremo.
Il Ministero del Lavoro ha previsto che le aziende possano attivare:
- Cassa integrazione ordinaria (CIGO) per eventi climatici estremi, anche sulla base delle allerte meteo.
- Deroghe semplificate alla documentazione normalmente richiesta per attivare le misure di sostegno.
- Accesso prioritario agli strumenti di welfare aziendale o territoriale per supportare i lavoratori, anche con voucher o convenzioni per servizi di refrigerio o trasporto.
Questo pacchetto di misure, se ben gestito, può aiutare le aziende a mitigare l’impatto economico delle interruzioni e, al contempo, a garantire protezione reale ai propri dipendenti.
Le implicazioni per imprese: non solo compliance, ma cultura del clima
Per i responsabili delle risorse umane, gli HSE manager, gli RSPP e le direzioni aziendali, il Protocollo caldo 2025 segna un vero e proprio cambio di paradigma, mirato a costruire una cultura del benessere termico.
Quali sono gli impatti pratici?
Per le imprese, adeguarsi al nuovo scenario normativo e climatico significa intervenire su più fronti operativi. A partire dall’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), che dovrà includere esplicitamente il rischio da caldo estremo e gli effetti del microclima entro l’estate 2025. Parallelamente, sarà necessario rivedere alcuni aspetti contrattuali e organizzativi, come gli orari di lavoro, i turni e i contratti collettivi, soprattutto per quelle attività svolte all’aperto o in ambienti non climatizzati.
Non meno importante è la pianificazione di investimenti mirati, per dotare gli ambienti di lavoro di attrezzature adeguate: si va dai materiali riflettenti per i cantieri alla ventilazione potenziata, fino all’aria condizionata in zone ad alto stress termico. A questo si aggiunge la necessità di formare dirigenti e preposti sui nuovi rischi microclimatici, per renderli pienamente consapevoli delle responsabilità operative e delle azioni preventive da attuare.
Infine, in un’ottica di inclusività e tutela della salute, le aziende dovranno anche prevedere piani di emergenza specifici per i lavoratori più vulnerabili, come le persone fragili o con patologie che possono aggravarsi con il caldo. In altre parole, servono misure concrete, personalizzate e coordinate per affrontare in modo efficace le nuove sfide del clima.
Per ciò che riguarda la gestione del caldo estremo sul luogo di lavoro, il Protocollo firmato a luglio è solo il primo tassello di una transizione necessaria, destinata a diventare strutturale. Per le imprese non è più tempo di attendere. Adattarsi al cambiamento climatico è un dovere normativo, ma anche una scelta strategica che impatta sulla continuità operativa, sul benessere organizzativo e sulla reputazione aziendale.
La sicurezza sul lavoro passa – sempre più – anche dalla temperatura.
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