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Mamme lavoratrici, decontribuzione per tutto il 2022
La Legge di Bilancio 2022, oltre a rendere strutturale il congedo obbligatorio di paternità di 10 giorni per i lavoratori dipendenti, riconosce alle neomamme lavoratrici del settore privato uno sgravio del 50% sui contributi previdenziali.
Si tratta di una misura introdotta in via sperimentale e, per il momento, la sua validità è confermato solo dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022.
Si può accedere allo sgravio dal momento di rientro al posto di lavoro dopo la fruizione del congedo di maternità, per un periodo massimo di un anno dalla data del rientro. La disposizione è rivolta sia alle donne che scelgono di rientrare subito dopo la fruizione dei cinque mesi di maternità obbligatoria, sia a coloro che rientrano dopo qualche mese di congedo parentale (astensione facoltativa).
Questa decontribuzione a favore delle lavoratrici neomamme, di fatto, è un modo per rendere più sostanziosa la busta paga delle donne che rientrano al lavoro dopo la nascita di un figlio. Il bonus si applica infatti alla quota di contributi a carico della lavoratrice che varia dal 9,19% della retribuzione lorda al 9,45%, in base ai settori.
Obiettivo: supportare le mamme lavoratrici
La misura si affianca agli altri incentivi in vigore per l’assunzione di donne e ha l’obiettivo di incentivare l’occupazione femminile e favorire il ritorno in azienda dopo la nascita di un figlio.
Del resto, rientrare al proprio posto di lavoro dopo i mesi di gravidanza è un momento delicato e complesso nella carriera di ogni madre lavoratrice, perché spesso non è facile riuscire a trovare nuovamente un equilibrio tra sfera privata e vita lavorativa.
A volte, infatti, le difficoltà di gestione famigliare, combinate all’impossibilità di avere orari flessibili o di ottenere una riduzione oraria, portano le donne lavoratrici madri a rassegnare volontariamente le dimissioni e a richiedere l’indennizzo di disoccupazione (ricordiamo che presentare dimissioni volontarie prive di preavviso è possibile da 300 giorni prima della data presunta del parto fino al compimento dell’anno di vita del minore ed è l’unico caso di dimissioni volontarie che concede la possibilità di richiedere la NaSpi).
Mamme e lavoro: i numeri in Italia
Secondo le cifre pubblicate nel 2021 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, nel 2020 ci sono state 42mila dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni.
Il fenomeno si è acuito con la pandemia: il 77% dei neogenitori che hanno lasciato il lavoro sono donne, per un totale di quasi 33.000 mamme lavoratrici che hanno dato le dimissioni e sono arrivate a un accordo di risoluzione consensuale.
Esiste una profonda differenza di genere nel dato relativo alle motivazioni delle dimissioni, rileva il rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro: la difficoltà di rendere compatibile il ruolo di genitore con la propria professione è per lo più femminile. Sono le donne che, in una percentuale tra il 96% e il 98% dei casi, segnalano difficoltà di conciliazione per ragioni legate ai servizi di cura o all’organizzazione del lavoro. Gli uomini, invece, si dimettono per lo più per cambiare azienda.
Numeri alla mano, si registra per le donne – soprattutto in fascia di età 25-34 anni – un calo dell’occupazione in coincidenza con la maternità e anche in relazione al numero di figli: il fenomeno si innesca col primo figlio e si incrementa con il secondo, senza particolari differenze a livello territoriale.
Le mamme lavoratrici negli obiettivi del PNRR
Tra gli obiettivi evidenziati nel PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, c’è un aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026. I dati che accompagnano gli obiettivi del PNRR confermano il problema: tra le donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e le donne senza figli la differenza del tasso di occupazione è del 74,3%.
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